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L'editoriale

Le maschere con il becco

24 Settembre 2020 - Marcello Fumagalli

Passeggiando per le calli veneziane è comune incontrare vetrine con esposte maschere con un lungo becco.

Ma cosa servivano?

In tempi di epidemie le misure di sanità pubblica imposero stravaganti abbigliamenti e fra questi anche le “maschere con il becco” e le “tuniche di seta” tessute senza cuciture. I medici furono i primi ad indossarli nel tentativo di garantirsi da inopportuni contatti con gli ammalati. Nel lungo becco erano riposte garze imbevute di fragranze e pietre preziose considerate “talismaniche”. I profumi servivano per proteggersi dai miasmi “pestilenziali” e le pietre preziose …. come “smaragdi”, rubini e lapislazzuli… quali preparati cordiali. Papà Adriano VI ne fece un uso smodato nel suo talismano paracelsiano Zenexton che portava appeso al collo sopra la regione cardiaca.

Nel XV secolo la Repubblica di Venezia aveva già compreso che le navi provenienti dall’oriente oltre a portare uomini e merci potevano avere un ruolo nella diffusione di malattie come la “morte nera” considerata un flagello inviato dal “divino” per punire l’umanità dei propri peccati.

Altre leggende scomodarono gli astri, le comete e tutte quelle congiunzioni siderali che, con i loro influssi, ammorbavano la Terra. Fra queste credenze la più famosa fu quella del contatto con la polvere della coda delle comete.

Al di là di tutto ciò i Governi intesero, da subito, che l’isolamento poteva essere la soluzione alla diffusione del “male” e così furono istituiti i lazzaretti, i cordoni sanitari e le quarantene nonché le patenti di sanità ovvero speciali attestati di salute rilasciati dalle autorità sanitarie.

L’imposizione dell’isolamento favorì la lontananza fisica, il mancato contatto con indumenti od oggetti e anche l’eliminazione del pericolo di esposizione al parlare con gli infermi. Il terrore della morte e la minaccia dell’infezione fu talmente forte che trasformò il vivere abituale facendo crescere il dubbio sui sentimenti di solidarietà anche fra gli affetti più sacri.

Differenti pandemie si sono susseguite nei secoli e furono “immortalate” in opere come il Decamerone del Boccaccio piuttosto che nei “Promessi sposi” del Manzoni.

Una nota curiosa legata alla peste del 1630 è quella del tracollo economico degli editori che si trovarono senza la materia prima, la carta, in quanto all’epoca essa era fatta con gli stracci e la pandemia imponeva invece di bruciarli! Così dopo l’impennata dei primi anni del XVII secolo, dove si registrarono un‘enormità di pubblicazioni, dopo il 1630 le pubblicazioni caddero verticalmente.

 

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