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L'editoriale

Al Luban

15 Luglio 2020 - Marcello Fumagalli

In ogni luogo sacro, nelle tende degli itineranti arabi del deserto e in genere in tutte le parti mediorientali il “bruciare” i grani balsamici della gommaresina raccolta da alcune piante, originarie di quei luoghi, ha sempre avuto un significato speciale.

Il liquido bianco lattiginoso, che appena solidifica assume l'aspetto di lacrime dense color ambra, deve il suo nome al termine arabo “luban” che significa appunto " bianco ".

Da “al luban” a “Olibanum” il passo è breve se si considerano le derive linguistiche imposte dalle traduzioni dall’arabo al latino.

Cinquemila anni or sono, per la prima volta, l’Olibano fu importato dall’Egitto come una delle sostanze aromatiche più pregiate e per tutta l'antichità il commercio di “al luban” fece la ricchezza dell'Arabia Felix, oggi Yemen. La preziosa resina fu valutata alla stregua dell'oro e delle pietre preziose condizionando l’economia degli Stati esportatori.

Assieme all’oro e alla mirra, l’Olibano fu uno dei doni che i Re Magi offrirono a Gesù appena nato affidandogli un’importanza sacra. Anticamente il termine era impiegato per identificare una specifica materia odorifera destinata ad essere incenerita in determinati luoghi ed eventi come quelli di culto e religiosi, ma con l’andare del tempo e delle tradizioni la parola “incenso” lo sostituì nell’uso comune e generico. La fumigazione fu l’espressione di devozione e l’offerta alla divinità; come ancora oggi l’uso degli incensi è l’esaltazione delle particolarità sovra terrene della divinità a cui è diretta. Non per nulla la parola “incensazione” ha come primo obiettivo la celebrazione delle doti dell’individuo di cui si vuole evidenziare l’importanza. Il profumo che si sprigiona dai grani ha un potere rilassante e racchiude in sé la sacralità del momento in cui esso è percepito e il rituale diventa l’espressione dell'obolo come l’oro la manifestazione del potere materiale e la mirra dell’asprezza della vita.

I chicchi resinosi, dal colore dell’ambra, bruciati sin dai tempi più remoti, mantengono ancora il loro significato profondo e l’aura di preziosità in tutti i cerimoniali del mondo.

L’incenso di Gerusalemme è quello da noi usato e da sempre è il più pregiato anche se esistono altre varietà odorifere come il bdellio, il benzoino e lo storace costituenti di molte ricette della “spezieria” medioevale e rinascimentale.

La pianta da cui si ricava questa preziosa resina è la “Boswellia carteri” alla quale si affidano numerose proprietà medicamentose tuttora riportate nelle indicazioni erboristiche.

 

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