The editorial
Social
27 February 2021 - Marcello Fumagalli
Chi avrebbe potuto immaginare che dopo tanti stravolgimenti tecnologici la nostra vita sarebbe stata cambiata da un modo di comunicare assolutamente innaturale? Oggi il mondo … meglio… una parte di esso è in preda all’ansia da “social” che, ormai, occupano molto del nostro tempo. Politica, lavoro, pubblicità e i nostri personali pensieri, inzuppati di altrettante private emozioni, trovano sfogo nella “virtuale comunicazione” che l’alieno strumento “social” ci permette. Qualsiasi momento della giornata diventa, in tal modo, la “chaise longue” dello psicoanalista donando sollievo alla sensazione di solitudine che riempie la nostra giornata. L’ansia del sentirsi soli ci spinge compulsivamente a seguire ogni “notifica” segnale salvifico di un messaggio, di una risposta, di un commento ….. oserei dire della vita. Il popolo fatto da “stulti, laici, idiotae, illiterati e porcari”, come definito nel Medioevo dai “presbiteri” della “caritas cattolica”, è cambiato relativamente se si vuol ben vedere, rispetto a quel tempo. Solo gli strumenti che oggidì abbiamo a disposizione forse ci differenziano da quelle oscure giornate, dove ogni pensiero o atteggiamento poteva essere scambiato come un’attività eretica per certi versi assomigliante alla contemporanea divulgazione digitale dei nostri “stati emozionali”. E’ bastata un’iscrizione, un “accetto” verso il quale non abbiamo fatto la debita attenzione per essere caduti in un “buco nero” i cui “limiti degli eventi” appaiono come barriera alla nostra libertà di pensiero. L’operare del domenicano Bernardo Gui, Inquisitore della Santa Romana Chiesa, si è trasformato nell’agire di un algoritmo il cui potere unilaterale gli permette di decidere sulla nostra messa al “rogo …. digitale”. Parole vietate, pensieri mal espressi, pareri critici possono far insorgere la cancellazione o il “congelamento temporale” del nostro “eretico” account. Il virtuale rogo è preceduto dalla proverbiale “autodafè” che il “perfidus heresiarcha” Frate Dolcino e i suoi seguaci patirono tra le contrade del novarese e del vercellese mentre un urlo sinistro si alzava gridando:” Poenitentiagite, Poenitentiagite” forma contratta della evangelica versione: “Poenitentiam agite appropinquavit enim regnum coelorum” ...... “ Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino”. Ancora oggi nei quartieri del novarese, del vercellese, del biellese e dei comuni della Val Sesia l’immagine di Dolcino e dei fatti a lui legati sono vivi....almeno come eventi e personaggi storici.